a cura di Antonella Prudente
La passione è una instabile e irregolare esplosione di emozioni, sicuramente violenta, ma se pur dolorosa o faticosa, può avere come effetto collaterale anche momenti di gioia. La passione si ha e si trasmette. La passione per gli scacchi è particolare, se si considera che è quella per un gioco violento, trattandosi comunque di due eserciti schierati, che tra attacchi e difese, devono persistere nell’obiettivo nobile e aristocratico di difendere il proprio re. Eppure la maggior parte degli scacchisti sono dotati, con le dovute eccezioni, di particolare calma, razionalità, self control…diremmo: sono, alla fine, dei pacifisti.
Tra sguardi e occhiate scrupolose, alla fine la conclusione è la stretta di mani.
Ed è chiaro ed evidente, che in un puro e naturale contrasto, il gioco della scacchiera sembra far miracoli.
Maria-Luisa Marano, istruttrice divulgativa dell’ASD Circolo Scacchistico di Montella, sostiene che giocare a scacchi favorisce l’interazione sociale, creando un senso di comunità e rafforzando i legami tra le persone. Nelle aree rurali, dove le occasioni di incontro possono essere più limitate, gli scacchi, possono rappresentare un importante momento di aggregazione.
‘Inoltre – continua l’istruttrice – gli scacchi insegnano il rispetto delle regole, la capacità di accettare la sconfitta e la perseveranza. Infine non bisogna dimenticare che gli scacchi sono, innanzitutto, un gioco. Offrono un’opportunità per confrontarsi con l’altro, distrarsi dai problemi quotidiani e stimolare la creatività.
Ho imparato a giocare da piccola in un’altra realtà scolastica e oggi sono felice che questo sport sia sempre più accessibile, grazie ad alcune persone sensibili che si occupano di istruzione pubblica e di riabilitazione.’
La Marano, che sta svolgendo, per conto dell’associazione di Montella, un corso di scacchi presso Villa Dora, Comunità Residenziale dell’Associazione “La Casa sulla Roccia”, ci offre davvero un’opportunità: riflettere sui benefici che possono derivare dall’attività scacchistica nel campo della riabilitazione.
Siamo stati accolti a Villa Dora e abbiamo fatto quattro chiacchiere con la dott.ssa Pina Pedicini e i ragazzi del centro.
Innanzitutto La casa di cui stiamo parlando si trova a Prata Principato Ultra e prende il nome dalla prima moglie del Generale Dalla Chiesa, Dora Fabbo, di origini irpine. La residenza ospita una Comunità Terapeutica per persone dipendenti e un Servizio Specialistico di Doppia Diagnosi, per ospiti che al Disturbo da Uso di Sostanze, sono portatori di un Disturbo Psichiatrico. Non è facile visitare la villa, perché la sua residenzialità è protetta, ma grazie alla gentilezza e alla disponibilità degli operatori, i cancelli si sono aperti per noi.
Prata Principato Ultra non ha mai dimenticato il Generale. A lui sono intitolate una scuola e una piazza. A testimoniarne il legame c’è soprattutto Villa Dora, che oggi è insieme un luogo di speranza e un tempio della legalità. Tracce dell’esempio del Generale sono ovunque, e i volontari hanno voluto dedicare le strade della piccola comunità a chi è rimasto vittima della barbarie dei clan. C’è anche una panchina rossa, simbolo della lotta contro la violenza sulle donne; perché Villa Dora nella memoria dei pratesi, ma degli irpini tutti, è ancora oggi ciò che era per il Generale: un angolo di pace, rispetto, accoglienza, legalità, speranza.
Chi è Pina Pedicini?
Sono responsabile del Servizio Specialistico Doppia Diagnosi, denominato INTEGRA de “La Casa sulla Roccia” e offriamo un servizio residenziale.
Perché INTEGRA?
È un’azione perfettamente integrata in una macro fase di Comunità Terapeutica e presso questo servizio noi attuiamo il programma terapeutico PROGETTO UOMO, una proposta rieducativa che pone l’uomo al centro di un intervento multidisciplinare, accogliendolo nella sua fragilità e nel suo disagio esistenziale, che esprime nell’affrontare la quotidianità della vita.
Si sceglie di lavorare a Villa Dora o si viene assegnati?
Io lavoro qui dal 1992. Dal secolo scorso ho cominciato il la mia attività alla Casa sulla Roccia, facendo volontariato, dopo una fase di tirocinio professionale.
Dall’inizio della sua attività ad oggi cosa è cambiato?
Nulla. Tranne le opportunità. Con l’avvenuto accreditamento del 2024, abbiamo aperto dei servizi nuovi, specialistici, ma i valori sono sempre gli stessi. Noi lavoriamo su un cambiamento comportamentale in base ai valori umani e civili e il lavoro che facciamo è diversificato per ciascuno ed è sempre in relazione alla persona. Facciamo un percorso terapeutico di revisione della storia di vita da cui, poi, una delle attività di terapia familiare parallela, perché possano ripristinarsi le relazioni tra i nostri ospiti e i loro familiari che per una fase di reinserimento post percorso è fondamentale. Negli anni io non trovo cambiato nulla perché il cuore del progetto è l’uomo.
Se i nostri ospiti (con noi, nell’intervista, ci sono Nicola e Marco) non percepissero che c’è del bene, della vicinanza da parte dei propri operatori probabilmente certi cambiamenti non potrebbero essere innescati.
Se non c’è un forte rapporto di fiducia, il problema non può essere risolto. La tossicodipendenza, la dipendenza in genere, sono anche un riflesso di una mancata autostima, di una mancata fiducia e la fiducia è innanzitutto mancanza di fiducia in sé stessi. Quindi, io non posso riacquistare la fiducia se non ho uno specchio di fiducia.
Le relazioni si basano da sempre su onestà, responsabilità e rispetto. La difficoltà maggiore è dare speranza sicura, riuscire a mantenere sempre la motivazione alta, lavorare sul senso di colpa e rendersi conto che dei comportamenti nuovi possono cambiare il copione del passato. I nostri ospiti, i nostri ragazzi si portano dietro un peso di un passato enorme e gravosissimo, per cui riuscire a comprendere che c’è sempre speranza, innescare un percorso di spiritualità a tal punto da riuscire a fargli vedere la possibilità di essere ancora capaci di comportarsi in maniera diversa, di pensare di sé delle cose differenti e riuscire a sanare le relazioni a cui invece si è data sofferenza e che hanno dato sofferenza, è fondamentale per cambiare la prospettiva.
Marco e Nicola sono due ragazzi residenti a Villa Dora, che hanno accettato di parlare con noi. Marco, Nicola, voi siete testimoni di questo cambiamento, quanto è difficile sperare in una società come quella in cui viviamo oggi?
Difficile. Noi sappiamo che non possiamo cambiare il mondo, ma facciamo quello che ci insegnano nella struttura e speriamo di portarlo fuori di qui. Noi possiamo cambiare nostre vite che possono essere seme di un cambiamento più grande. Questa è la speranza. Io sono Marco sono, un ragazzo della comunità che ha scelto questo percorso più o meno da un anno. E Non è la prima volta che entro in struttura. Comunque è difficile: ci vuole tempo per risanare le ferite. Ancora oggi ho paura di cadere, di stare per strada, di avvicinarmi ad un bar, la società ti provoca. Molto dipende dalla nostra famiglia, quando ci si vergogna di dire ’sono un debole!’ e a famiglia non si accorge di nulla. E’ stato brutto! Oggi, invece, io sono capace di esternare tutti i miei sentimenti e dire a mia mamma quello che pensavo all’epoca. Il lavoro che faccio qui su di me, con l’aiuto di un’operatrice e dell’equipe, mi permette di confrontarmi sempre di più con i miei genitori.
E tu invece?
io sono Nicola e da 17 mesi mi trovo in comunità. Anche io ho fatto un altro percorso prima di questo, a San Patrignano, perché ci sono ricaduto. Quando sono arrivato qui, ero in condizioni pietose. Ero un ragazzo che non amava nemmeno sua madre, non riconoscevo mia madre, non mi sentivo un figlio, non avevo la forza di guardarmi allo specchio e grazie al lavoro che ho fatto con lo staff, sono riuscito a recuperare, diciamo l’80% del rapporto con mia madre. C’è ancora mia sorella che fa da tramite tra di noi, ma io oggi ho più forza.
Che cos’è la scelta per te?
Io mi sono affidato. Questo è importante: mettere la vita nostra in mano a dei professionisti, perché abbiamo capito che ci aiutano.
Cosa farai quando uscirai?
Voglio aiutare molto, aiutare gli altri e vorrei intraprendere un corso OSS se possibile, così da avere ancora più forza sia per me, che per gli altri.
Che tipo di attività fate a Villa Dora, Nicola?
Oltre alle attività terapeutiche e a quelle lavorative, partecipiamo a molti corsi che ci permettono di studiare, anche attraverso internet. Abbiamo seguito dei corsi di agricoltura, numerosi corsi di formazione, facciamo attività di laboratori, di movimento espressivo, i laboratori di intelligenza emotiva e laboratorio di scacchi, i laboratori per la preparazione delle feste principali Natale, Pasqua, la festa della mamma, la festa del papà, etc. Ogni festa dell’anno è importante. Guardiamo film e li commentiamo. Anche un po’ di nuoto, durante le uscite estive.
Giocare a scacchi è stato qualcosa di nuovo?
Si, ma sto imparando velocemente, perché Marco sa giocare.
Quali sono i vantaggi di questo gioco?
Dopo aver fatto uso di sostanze stupefacenti, si hanno, per così dire, i neuroni a riposo. Quando ci troviamo davanti a un tabellone con delle lettere, con dei numeri e con delle forme da guidare, mossa dopo mossa i neuroni si svegliano. Cominciamo a fare esercizio. Imparando il gioco, facciamo lavorare il cervello.
Poi è un gioco che ti mette di fronte ad un altro e quindi impariamo il rispetto per la persona con cui giochi. È un gioco che richiede tanta pazienza e tempo.
Qual è stata la cosa più difficile sulla scacchiera?
Per me è stato capire. Fino a quando si gioca solo con i pedoni, è molto facile, poi quando devi muovere la regina e il cavallo, che ha una mossa tutta sua, molto particolare, beh… diventa più complicato. Anche se poi diventa tutto più semplice quando hai un compagno di fronte a te che sa giocare, come dicevo. Lui ti aiuta e ti fa capire giocando cosa fare.
Marco tu da quando giochi a scacchi?
Da quando ho cominciato a frequentare il forum dei giovani del mio paese. Allora facevamo tante cose, tra cui giocavamo a scacchi. Qui ho ripreso grazie a Maria-Luisa, che è davvero brava. Noi ci abbiamo messo del nostro, ma lei ha messo tantissimo di suo.
Qual è il vostro pezzo preferito sulla scacchiera?
La regina, sicuramente. Un pezzo che si muove come vuole, ma con responsabilità, quella stessa che si acquisisce attraverso il gioco. È un pezzo impegnativo, infatti ci vuole impegno per giocare.
Continuerete a giocare?
Se Maria-Luisa verrà.
Certo. Chiederemo all’associazione di continuare il corso? Dottoressa Pedicini va bene?
Si certo. È un gioco che fa bene.