A cura di Antonella Prudente
Nome: Salvatore
Cognome: Sciannamea
Professione: Sacerdote
Gioco a scacchi: No
Presentazione:
Sono don Salvatore Sciannamea, sacerdote di Canosa di Puglia, della diocesi di Andria. Sono un giornalista pubblicista, scrittore, appassionato di arte e amo molto la lettura. Amo le arti estetiche come il teatro, la pittura, il cinema, la musica. Sono immerso nel mondo della spiritualità e mi affascinano percorsi interculturali e gli incontri relazionali. Credo fermamente che ognuno possa essere portatore di luce e di bontà. Sono rettore dell’abbazia del Goleto in Irpinia, dove attualmente risiedo.
Qual è il suo rapporto con gli scacchi?
Non conosco il gioco degli scacchi ma mi ha sempre affascinato per le regole che vi sono celate. Mi ha sempre affascinato il fatto che lo stesso Napoleone prima di una battaglia vi si esercitava per creare la nuove strategie.
Oggi non si parla più di gioco, bensì di sport. In qualità di esperto della medicina, quali sono gli effetti collaterali di questa nuova disciplina sportiva?
Come lo sport per i muscoli questo gioco è per la mente. Credo che permetta di acquisire nuove elaborazioni dinanzi alle complesse sfide della vita, aiutando nuove neuroconnessioni e dunque maggiore rapidità di analisi e di calcolo. Gli scacchi sarebbero un ottimo strumento psichico per la mente, una palestra per intuizioni, elaborazioni analisi e soprattutto aiuterebbe a rimettere sempre più al centro la concentrazione, elemento fondamentale per affrontare ogni genere di problemi, oggi così tante volte indebolita per gli innumerevoli stimoli e distrazioni dell’odierna società.
A chi consiglierebbe il gioco degli scacchi?
Lo consiglierei come una sorta di meditazione per l’ansia e lo stress nella sua filosofia, particolarmente ai ragazzi e ai giovani per fare emergere quelle possibilità insite nella vita interiore, così tanto trascurate.
Quanto incide sulla crescita di un individuo un gioco/sport come quello degli scacchi?
Il gioco è parte dell’uomo. Credo che questo gioco possa incidere in bene in ciò che siamo, più che in ciò che facciamo.