a cura di Antonella Prudente
Chi è Pierluigi Passerotti?
Passerotti Pierluigi, una vita con gli scacchi. Sono nato a Roma il 9 giugno 1954. I miei genitori mi stimolarono ad appassionarmi: dipingere ad acquerello, alla lettura, al canto (c’era lo Zecchino d’oro), all’Astronomia. Mio padre comprò un telescopio quando avevo sette anni. Avevamo un gatto e mia madre raccolse un passerotto malato che fu curato e visse una decina d’anni con noi, libero di entrare e uscire dalle finestre. Poi un cane chiamato Bobby come Fischer. All’età di otto anni mio padre mi comprò un libro di scacchi illustrato con divertenti figure di Cavallo pigro con fiore in bocca, Torre seduta su 5 soldati medioevali (la Torre vale 5 Pedoni), Re rincorso da una Regina col mattarello. In verità gli scacchi sono divertenti per chi conserva il piacere innato del gioco e, in fondo, tutto è un gioco e i giochi possono diventare una professione. Fortunati quelli che ci riescono: medici, ingegneri, artisti, sportivi… scacchisti e non necessariamente in ambito agonistico. A me è accaduto: ero attratto dalla fisica, dall’elettronica, dagli scacchi e dal bridge, alla fine gli scacchi hanno prevalso. Inizialmente sono stato agonista, due volte nella squadra italiana alle Olimpiadi degli scacchi ma soprattutto mi piace insegnare, invece che matematica o fisica il gioco degli scacchi! Nelle scuole, nei club e con, l’avvento di internet, on line.
Gli studi in matematica mi hanno proiettato a studiare il ragionamento astratto e l’interesse per filosofia e psicologia mi hanno sensibilizzato alla dimensione emotiva e culturale degli scacchi. Ritengo che la diffusione della “disciplina” scacchistica sia uno strumento eccezionale per l’evoluzione dei giovani con pochi o nulli aspetti negativi. I genitori temono che i figli sottraggano tempo allo studio delle materie scolastiche, ma peggio sarebbe se i giovani fossero catturati da videogiochi, dall’uso smodato dei social network, alcol, fumo, droghe… magari tutte le devianze fossero giocare a scacchi!
Sono uno dei primi Istruttori/Formatori di Istruttori della Federazione Scacchistica Italiana, quando la FSI entrò nel CONI come Disciplina Associata. In FSI sono stato per due volte eletto nel Consiglio Federale come Responsabile giovanile.
Ho studiato i reattori nucleari… e ci fu il referundum contro il nucleare. Passai alla matematica e quando stavo per cambiare facoltà per Fisica fui chiamato dal Banco di Roma per essere assunto e far parte della squadra di scacchi Banco Roma che poi vinse varie volte il campionato Italiano a Squadre. Dopo 11 anni mi licenziai per entrare nella società editrice Prisma Editori ma dopo due anni la lasciai per fare l’editore della rivista Torre & Cavallo dalla quale uscii dopo una decina di anni. Sono Istruttore Capo e Formatore di Istruttori di Scacchi FSI, ho scritto centinaia di articoli e collaborato a libri di scacchi. Svolgo lezioni di scacchi e conferenze.
Quali sono gli aspetti positivi degli scacchi? E quelli negativi?
Tutti parlano positivamente degli scacchi a scuola: il ragionamento nella partita necessita di affinare la logica, la capacità di analisi, ma non solo. Si allena la volontà, l’autocontrollo emotivo, l’accettazione della sconfitta. Bravi trainer sfruttano le sconfitte per far scoprire che studiando e impegnandosi, si può migliorare e superare gli insuccessi che non sono un destino immodificabile. Negli scacchi bisogna usare due modi di ragionamento: analitico (calcolatorio come si dice in gergo scacchistico) e intuitivo (valutativo) e si raggiunge la maestria quando padroneggiando entrambi si riesce a miscelarli opportunamente. Evidente l’analogia con la cosiddetta Arte Militare che va capita per meglio comprendere le contese tra stati e le implicazioni geopolitiche della capacità bellica: Nelle scienze naturali, fisica soprattutto, il calcolo è necessario quanto l’immaginazione. Nella partita a scacchi raramente basta il calcolo, serve la valutazione che può avvenire grazie a delle “teorie”, ad esempio che la Torre vale più di un Cavallo. Teoricamente per i maestri, ma ai bambini piacciono più i Cavalli e la loro è una teoria ancorché rudimentale e fallace. Nella storia degli scacchi, come nella storia della Fisica, si è proceduto per teorie poi contraddette per arrivare a teorie migliori. Terra piatta e al centro dell’Universo criticata e sovvertita dalla teoria eliocentrica prima e poi dalla conoscenza di un Universo nel quale siamo meno che un granello di polvere. Dalla gravitazione universale di Newton e la Meccanica classica si è passati alla Teoria della Relatività Ristretta e poi Generale e da critica e osservazione della realtà si è giunti alla Teoria Quantistica e alla prevalenza della statistica, dell’indeterminazione. Negli scacchi l’osservazione di posizioni stranamente contraddittorie le teorie vecchie ha portato dal solo concetto di scacco matto dei giocatori del 1600 (sacrificavano troppo Pedoni e pezzi per attaccare il Re nemico) alla Teoria dei Principi d’Apertura e del Finale e finalmente alla più evoluta Teoria dei 6 Elementi di valutazione posizionale.
La Teoria dei Principi (in Apertura occupare il centro con almeno un Pedone, sviluppare tutti i pezzi verso il centro rapidamente, arroccare al più presto) ha subito l’antitesi tra il 1800 e il 1900 che ha portato alla sintesi della Teoria dei 6 Vantaggi Posizionali che ancora può non bastare a comprendere e prevedere come giocare: forse serve un settimo elemento, quello psichico, emotivo. Nelle posizioni dove il calcolo non arriva a conclusione di scacco matto si apre la porta all’intuizione e alla creatività. La scelta delle mosse non è solo deterministica ma spesso probabilistica. Per questo i Grandi Maestri, nella stessa posizione possono fare mosse diverse (se non c’è una soluzione determinata di scacco matto), ognuno sceglierà di puntare al tipo di vantaggiosità che gradisce, chi una struttura pedonale solida chi a un dinamismo maggiore, o a rendere insicuro il Re nemico a costo di svantaggio negli altri elementi strategici. Questo fa un Istruttore: indica gli elementi per fare scelte non irretisce in schemi codificati la libertà mentale. Che poi scoprire la Realtà, la Verità, è scoprire noi stessi, il nostro pensiero, la nostra essenza, si può ben dire… il nostro spirito.
La scuola è soffocata dalla burocrazia, è sclerotizzata da regolamenti e ideologie. Così si fa fatica a divulgare gli scacchi eppure gli alunni sono attratti da questa disciplina. I dirigenti non vogliono far pagare una decina di euro alle famiglie mentre si attuano progetti di gite costose e spesso di scarso valore culturale. Gli alunni hanno spesso costosi cellulari sin nella Primaria. Gli scacchi sono economici e veramente formativi. Ora ci sono soldi del PNRR ma come si fa a realizzare 30 ore di lezioni a scapito di materie fondamentali penalizzate anche da altre attività? E nei progetti PNRR devono esserci almeno 20 alunni (non uno di meno) che se mancassero per qualsiasi motivo renderebbero non finanziato il progetto e va detto che ramente si inizia a gennaio con evidenti difficoltà ad arrivare a fine maggio per lezioni di una ora a settimana. L’ipercontrollo è basato sulla sfiducia per insegnanti e istruttori, ed è purtroppo, perfino parzialmente motivato. Sì, perché si varano progetti ridicoli come riciclo di abiti e moda spesso finalizzati a far guadagnare alcuni “favoriti”. Un episodio assurdo: lezioni di giardinaggio… magari insegnassero a far germogliare un seme, a quali sostanze usare e non usare in agricoltura, i danni del cambiamento climatico e dell’inquinamento… no. Si va nel giardino interno alla scuola a sradicare le erbacce, un compito che fa risparmiare un giardiniere professionista? Per non parlare del bando di gara: come se ci fossero non circoletti di scacchi ma multinazionali in lotta per accaparrarsi i “ricchissimi” corsi di scacchi? Gli scacchi, che si insegnano con una scacchiera murale e con set forniti gratuitamente dai circoli scacchistici… mentre a tennis, calcio, sci servono spese per indumenti, racchette, sci di centinaia di euro?
Gli scacchi sono per tutti, ricchi e poveri, per i primi della classe come per gli ultimi perché i tornei non sono a eliminazione e si gioca sempre e sempre si può migliorare e passare dalle sconfitte alle vittorie e non ci si uccide ma si impara ad essere leali e rispettare le regole e l’avversario. Ci si dà la mano prima e dopo la partita: è una regola della FIDE (la federazione internazionale) e della FSI (nazionale).
Noi scacchisti abbiamo lo spirito dei samurai: combattiamo.
Al di là della questione scolastica, gli scacchi hanno una storia antichissima. C’è un tempo giusto per gli scacchi?
A età diverse si possono apprezzare aspetti diversi dell’antico gioco degli scacchi. I bambini vogliono giocare e competere, perciò al tempo dei 6-14 anni è giusto fare scacchi agonistici e per chi si appassiona il tempo dell’agonismo va oltre i 25 anni, per alcuni non c’è limita: il GM Korchnoi a 85 anni combatteva ancora con il massimo impegno nei tornei di alto livello. A secondo dell’età e ancor più della personalità si possono apprezzare gli aspetti logici, filosofici e scientifici. La didattica scacchistica ha da insegnare come insegnare, infatti metodi come Problem & Solving sono da sempre connaturati a chi studia e insegna gli scacchi. Già verso i 16-18 anni chi ha doti psicologiche può orientarsi a comprendere le potenti pulsioni emotive che agiscono magari sotto l’apparente freddezza dei giocatori. Il russo Bronstein GM quasi campione del mondo era uno psicologo e Fine, il migliore GM americano prima di Fischer, smise di competere per il titolo mondiale per dedicarsi alla psicoanalisi. Scrisse il libro “La psicologia del giocatore di scacchi” che esponeva tesi controverse sulle oscure pulsioni degli scacchi dove si “uccide” il Re (padre?). Verso l’età di mezzo gli aspetti culturali sono seducenti sconfinando dalla storia e geografia all’arte. Letteratura e film sono pieni di riferimenti agli scacchi. E da vecchi… si gioca per stare in compagnia e divertirsi e… tenere la mente lucida e attiva.
Quale la cosa più significativa da studiare ? E la mossa più creativa?
Per giocare bene all’inizio la tattica, cioè l’abilità di calcolare presto e bene le mosse migliori in posizioni a carattere forzante ma ben presto si deve studiare la strategia, cioè la capacità di formulare piani a lungo termine in posizioni a carattere non forzante. A secondo dell’evoluzione degli scacchi il concetto di bellezza e di creatività cambia. Nel 1600 erano apprezzatissime le partite con sacrifici di pezzi per dare matto, il Codice di Lorena del grande Gioacchi Greco ne è l’esempio sommo (si trova nella biblioteca nazionale di Firenze, consultabile sotto controllo: è di valore storico enorme ma anche prezioso per le scritte in oro su pagine blu lapislazzulo). Nel 1750 il francese Philidor rivoluzionò la sensibilità affermando che l’anima degli scacchi erano i miseri Pedoni e applicando una strategia militare attuale: le truppe riparate dietro a solide barriere (mura o carri armati). Poi ci fu la rivoluzione ipermoderna degli anni 1920-30 di Reti, Tartakower e Nimzovic che invece di occupare lo spazio volevano controllarlo da lontano con i pezzi a lungo raggio, Torri e Alfieri. Nimzovic fece la mossa più forte del mondo di portare un Cavallo nella casa d’angolo, un’assurdità per i classici. Oggi nessuno farebbe elogi così sperticati per una manovra strategica che tende a portare un pezzo inattivo verso nuovi obiettivi pur dovendo passare da una “orribile” casa d’angolo. Nelle posizioni a carattere non forzante sono ormai note e apprezzate lunghe manovre per linee interne alle trincee di Pedoni che ad un giocatore del 1600 o del 1800 sembrerebbero brutte e involute.
Ha un suo ‘rito’ prima di una partita? Lo trasmette ai suoi allievi?
No.
Non mi piace l’idea che riti e pensiero magico governino la mente e gli scacchi. Non che negli scacchi siano assenti pulsioni irrazionali, come la paura, l’eccessivo rispetto della bravura dell’avversario. I giovani spesso non gradiscono giocare con maturi ed esperti avversari “tanto perdo di sicuro” e sbagliano! Sia perché non imparano sia perché i campioni sono stati coraggiosissimi nel voler giocare con chi era più forte mentre si annoiavano a vincere con i deboli. Le pulsioni sono il campo della sapienza emotiva che non è magia ma conoscenza e arma per superare i propri limiti.
Cerco di trasmettere la meraviglia, la passione per la scoperta, la forza di combattere senza demoralizzarsi fino all’ultimo e accettare la sconfitta nel modo migliore: ristudiare tutte le mosse fatte per determinare dove siano stati commessi errori per curarli e non commetterli più.