a cura di Antonella Prudente

Chi è Carmelo Calzerano?

Sono nato ad Avellino nel 1972, ma cresciuto a Montella. Ho studiato a Montella fino al conseguimento del diploma di liceo scientifico e poi mi sono trasferito a Pisa per gli studi in ingegneria informatica all’età di 19 anni. Nel ‘98 ho avuto una buona opportunità di lavoro in Polonia e sono stato fuori per qualche anno, ma facendo sempre base a Pisa dove sono rimasto per 18 anni. È lì che mi sono sposato ed è lì che sono nati i miei figli; quando però nel 2009 ho avuto una interessante offerta di lavoro da ACCA software, ho preferito rientrare per far crescere i figli a Montella. Ho comunque ancora casa a Pisa, ora ci abita mio figlio che sta studiando anche lui Ingegneria Informatica.

La sua passione per gli scacchi?

Gli scacchi sono stati da sempre la mia passione. All’inizio parliamo di anni in cui non c’era la possibilità di avere scambi facili, soprattutto in queste zone dell’entroterra, giocare con appassionati come me. Tra i primissimi con cui ho potuto fare qualche partita qui a Montella, ai tempi del liceo, c’è stato proprio Marco Picariello, l’attuale Presidente dell’ASD scacchi-Montella, e pochi altri ragazzi.

Di fatto non ho avuto la possibilità di studiare, scoprii e comprai il libro Scuola di scacchi di Pietro Ponzetto, da cui ho appreso i rudimenti, però senza avere la possibilità di praticare, quindi in effetti fino ai 18 19 vent’anni quando poi mi sono trasferito a Pisa non c’è stata la possibilità di affinare in qualche modo, riuscii a capire quelle che erano le capacità, le caratteristiche del gioco.

Durante i primi anni di studio a Pisa, invece, dove c’era un circolo di scacchi, ho cominciato effettivamente a giocare, ho imparato, ho preso la categoria nazionale, ho fatto qualche torneo… Un’esperienza durata circa tre anni. Poi gli impegni di studio, la mancanza di soldi, non era semplice permettersi anche il lusso del gioco. Ha inciso molto anche il fatto che io soffro il torneo cioè la parte agonistica. In un certo senso non mi attira più di tanto gareggiare, preferisco la partita fra amici, la competizione mi fa un brutto effetto, perché richiede più impegno e questo mi mette ansia.

Salendo un pochino di livello, le difficoltà e l’impegno richiesto per migliorare ancora aumentano di molto; insomma da zero a 100 si fa subito ad arrivare, ma da 100 a 101 già diventa molto più dura: preparare una partita per un torneo contro avversari di un certo livello, significa studiare, lavorare. E non sempre c’è la possibilità o la motivazione per farlo.

Quale livello ha raggiunto?

A livello nazionale sono credo una seconda categoria nazionale, conquistata nei pochissimi tornei ufficiali a cui ho partecipato in gioventù. Come forza effettiva valgo però qualcosa in più, sicuramente almeno una Prima Nazionale e (con un buon allenamento) mi misuro più o meno alla pari anche con i Candidati maestri. Direi perciò intorno ai 1900 punti Elo, anche 2000 quando sono allenato. Diciamo che a Montella quando sono tornato avevo pochi rivali, ho vinto anche il primo torneo Città di Montella; ma grazie all’attività del circolo oggi la situazione è molto cambiata, e soprattutto fra i giovanissimi ci sono giocatori molto promettenti.

Il suo rapporto oggi con gli scacchi?

Dopo l’ultimo torneo a cui ho partecipato qui a Montella, di tanto in tanto ogni tanto Marco mi chiama per la singola partita, per dare una mano all’associazione, di solito raggiungo buoni risultati, però non giocando con costanza, diciamo così non li dimostro, la disabitudine fa sì che non sei competitivo. Qualche partitella veloce su internet però la gioco spesso, quasi ogni giorno.

Oltre la passione per gli scacchi, anche la passione per l’informatica. In che rapporto sono?

Avevo circa dodici anni, quando cominciai a comprare le prime enciclopedie a fascicoli e riviste in edicola Il mio computer, MC microcomputer, riviste dell’epoca. Cominciai ad affinare le mie conoscenze, cominciai ad appassionarmi all’informatica seriamente. La prima cosa, quando sono arrivato all’università e quando ho avuto la possibilità, ho fatto quello che volevo fare: un programma in grado di giocare a scacchi come e meglio degli umani.

È stata una sfida non da poco, soprattutto in tempi in cui Internet non c’era ancora oppure esisteva, ma era come se non esistesse, perché parliamo dei primissimi anni 90 quindi proprio gli anni in cui è nato il web, le risorse erano poche, la connessione a casa non c’era e le informazioni reperibili in rete sull’argomento pochissime se non nulle.. Quindi insomma diciamo che sono riuscito a fare il mio primo programma di scacchi per il corso di ingegneria della conoscenza e sistemi esperti, l’ho presentato come progetto, era in corso del quarto anno di ingegneria informatica e l’ho fatto praticamente da solo. Avevo scoperto il libro di Paolo Ciancarini, I giocatori artificiali, un libro divulgativo degli anni ‘90, che più o meno illustrava qual era la struttura di un programma, come erano fatte a grandissime linee queste strutture, e da lì sono riuscito in qualche modo, non so come. a tirare fuori qualcosa di decente, un programma in grado di battere un amatore. Sono stato sul gruppo Hobby scacchi, venne fuori un ragazzo, Gianluigi Masciulli, che aveva scoperto che esistevano in Italia 2 o 3 programmini che giocavano a scacchi. Venne fuori un torneo da cui creammo un’associazione GSEI – GRUPPO SCACCHI E INFORMATICA e negli anni fra il 1998 e il 2002 più o meno, portammo a quella che fu una fioritura dei programmi di scacchi, praticamente, in Italia. La nostra nazione da zero passava ad essere uno, forse il paese con più programmi di scacchi al mondo. Grazie al confronto continuo e allo scambio di opinioni il mio nuovo programma, Leila, raggiunse una forza di gioco molto superiore al precedente. Ricordo ancora con grande emozione quando il programma riuscì a battermi per la prima volta; era quello che fin dall’inizio miravo ad ottenere, il frutto di anni di studio e di lavoro e il coronamento di un sogno che – solo pochi anni prima – mi sembrava lontanissimo e arduo da realizzare.

Leila all’epoca fece un certo scalpore, l’Italia era considerata “terzo mondo” nel settore, e un programma italiano in grado di competere con i più forti del mondo fu una sorpresa molto apprezzata dalla comunità di esperti e appassionati. Diverse persone da vari continenti si proposero di aiutarmi con i test, lo sviluppo del libro di aperture ecc.; e soprattutto ebbi la possibilità di conoscere e confrontarmi con i maggiori esperti mondiali del settore, come Robert Hyatt, Bruce Moreland, Ed Schröder… quelli insomma che i programmi di scacchi li avevano inventati!

Grazie a questo Leila diventò sempre più forte tanto da riuscire a battere regolarmente, su cadenze veloci, perfino i Grandi Maestri umani. Dopo la vittoria a punteggio pieno nel primo campionato italiano per programmi di scacchi nel 2001 a Pisa, negli anni successivi sono stato più di una volta invitato a tornei, conferenze, e varie manifestazioni internazionali. Ricordo in particolare le sfide uomo-macchina (che andavano molto di moda in quel periodo, sulla scia della vittoria di Deep Blue contro Kasparov) contro il Grande Maestro Djuric, il Maestro Internazionale Ljubisavljevic, e la campionessa italiana nonché Maestro Internazionale Olga Zimina. Inutile dire che ormai Leila era diventata fortissima e quelle partite le vinse tutte facilmente, nonostante si cercasse di rendere le sfide più equilibrate costringendo il programma a giocare con il Nero e con forte handicap di tempo.

Insomma, una volta raggiunto questo risultato non avevo più molto da dimostrare a me stesso. Complice anche il fatto che il tempo dei pionieri era finito (ormai bastava scaricare da Internet i sorgenti di un forte programma open source, e ripubblicarlo cambiandogli il nome per dichiararsi autore di programma di scacchi!), il mio interesse per la computer chess scemò velocemente e dopo un po’ sono uscito dal “giro”.

Ha influenzato anche la scelta e la qualità del suo lavoro?

Per la scelta lavorativa è stato un evento fondamentale, letteralmente coniugando queste due passioni ho imparato il mestiere: ingegnere del software. Quando ho iniziato a lavorare prima a Varsavia e poi a Livorno avevo già una base solida grazie all’impegno profuso nello sviluppo dei programmi di scacchi, poi, ovvio, ho dovuto studiare tantissime altre cose per poter fare il mio lavoro.

In realtà lo studio e la ricerca sono sempre stati e sono ancora oggi pane quotidiano. Per attitudine e preferenze personali e anche grazie a un pizzico di fortuna, ho sempre lavorato in campi pionieristici o in forte evoluzione; perciò, l’esperienza giovanile fatta con Leila mi ha aiutato tantissimo, se non altro dal punto di vista della mentalità e dell’approccio. Anche in ACCA software ad esempio, guido da qualche anno il gruppo di sviluppo del motore grafico 3D e l’obiettivo primario del mio team è sfruttare appieno e spingere sempre più avanti quelle che sono le tecnologie allo stato dell’arte.

Parliamo di IA: che cosa si potrebbe fare che non è stato fatto per il gioco degli scacchi?

In realtà i programmi che giocano a scacchi, non giocano a scacchi come giochiamo noi, non sono ‘intelligenti’ fra virgolette, non usano nulla che emuli i nostri processi mentali ma sfruttano quello che le macchine hanno di vantaggio rispetto a noi: la capacità di calcolare in modo estremamente veloce, preciso e approfondito miliardi di varianti. Fanno una ricerca esaustiva in un albero, con algoritmi di base anche piuttosto semplici, roba da primi anni di studi informatici.

In teoria, avendo tempo o velocità infinita, un programma di scacchi molto semplice che sfrutti solo questi ben noti algoritmi di base potrebbe giocare in maniera perfetta. Il problema nasce nella pratica, perché il gioco degli scacchi è estremamente complesso e l’albero delle varianti cresce esponenzialmente, dopo solo poche mosse le posizioni da analizzare diventano miliardi.

Perciò è necessario sviluppare delle euristiche che in qualche modo ti permettano di selezionare le più promettenti fra le combinazioni possibili: è lì che si gioca tutta la partita! Ma non c’è nulla di intelligenza, c’è della statistica, delle ricerche. L’intelligenza umana funziona in modo completamente diverso.

La forza attualmente raggiunta dai programmi di scacchi, che sono ormai imbattibili anche per i più forti giocatori umani, dimostra una volta di più che con sufficiente potenza di calcolo, con sufficiente tempo di elaborazione, si può simulare o perlomeno ad avere gli stessi effetti di quello che può sembrare un ragionamento, ma di fatto non lo è. La tattica insomma, se portata alle estreme conseguenze, diventa di fatto indistinguibile dalla strategia.

Il pezzo più importante sulla scacchiera o il più affascinante da programmare nel software?

Secondo me, gli scacchi sono stati definiti arte, scienza, gioco, guerra, poesia, in effetti in qualche modo assumono e riassumono un pochino tutto questo. Io penso che non ci sia un pezzo in particolare, penso che più che altro ci sia l’armonia che si crea tra i vari pezzi: per esempio il pedone, sebbene poco potente e limitato nei movimenti, è definito l’anima degli scacchi, perché è quello che dà la struttura, come se definisse in qualche modo il campo di battaglia. I pezzi hanno caratteristiche diverse tra di loro: il pezzo più potente di un attacco, per esempio, è la donna, la regina, ma il pezzo più importante è il re. Ci sono le torri, gli alfieri, i cavalli, con quel modo loro tutto strano di muoversi, tutto questo nei secoli si è cristallizzato in un equilibrio tra le varie varianti, varie evoluzioni del gioco. Alla fine, con il passar del tempo, si è raggiunta quella che a me pare una piena armonia, bella anche esteticamente. Non è possibile fare una scelta.

Il gioco degli scacchi è un gioco di grande sentimento umano. Gli scacchi sono il gioco o lo sport di famiglia?

Si. Ho due figli e ad entrambi ho insegnato a giocare. Per passione, Salvatore è stato anche ad un campionato italiano, classificandosi fra i primissimi, nonostante fosse un anno più piccolo rispetto agli altri giocatori. Sembrava destinato a fare sfracelli, ma come tutti, poi, alla fine ha rinunciato all’aspetto agonistico, per non studiare, ha scelto di divertirsi sulla scacchiera. Per perdere qualche giorno di scuola, accettava di partecipare alle gare, ha scelto la partita tra amici. Andrea, ha un animo più artistico, è meno portato per la scacchiera, però comunque ha fatto le sue esperienze, rispetto al giocatore occasionale magari è ancora in grado di dire la sua. Proprio per loro, per i figli, insieme a Marco, abbiamo creato l’associazione a Montella. Loro sono cresciuti, da grandi hanno preso altre strade, io ho il mio lavoro, così ci siamo allontanati un po’, perché non si ha il tempo necessario, ma gli scacchi hanno sempre fatto parte della mia vita e di quella della mia famiglia. Io non ho mai abbandonato la passione, anche adesso anche, non gioco, ma comunque seguo i campionati mondiali, partite importanti on line… cerco di interessarmi, di farle mie.

E tua moglie, gioca?

No, mia moglie no, perché non è un mestiere suo. Però, ricordo che quando eravamo ragazzi, fidanzati ogni tanto mi faceva domande, provavamo a giocare, poi si arrabbiava perché c’era la regina,’ la ciuffetta’ diceva lei, che arrivava e distruggeva tutto, non conosceva le regole e aveva imparato qualcosa solo osservandomi, ma aveva capito questa cosa che quando ‘quella’ arrivava la regina e si faceva quello che diceva lei.

Oggi i giovani sono poco appassionati per tante ragioni, tra cui la poca voglia di studiare e la mancanza di obiettivi precisi. Tu hai dato un input straordinario alla possibilità di comprendere i giovani, perché hai usato il loro linguaggio, quello che oggi è il loro linguaggio anche se virtuale. Cosa manca secondo te ai giovani per avere passione?

Fai una domanda un po’ complessa che esula da quelli che sono i miei ambiti di competenza. Tenterò una risposta da prendere con beneficio di inventario. Io credo che uno dei problemi del mondo moderno è che appunto questi ragazzi hanno perso un pochino la capacità di vivere la vita. Hanno troppe soddisfazioni, cercano la soddisfazione facile, mentre un gioco come gli scacchi e la vita in generale, educano. Sarebbe educativo giocare a scacchi perché devi in qualche modo impegnarti, ci vuole quel minimo di sforzo in più, che poi ti dà una maggiore gratificazione. Importante in più negli scacchi a differenza di altri giochi, io non sono convintissimo che proprio gli scacchi siano uno sport, lo sono per certi aspetti non per altri, ti mettono in qualche modo di fronte a te stesso, nel senso: sei tu! Per quanto uno possa dire di avere mal di pancia, realtà è lui che deve impegnarsi senza scuse per poter vincere o comunque affrontare la partita. Judit Polgar diceva non sono mai riuscita a battere un uomo sano. Dopo aver perso, chi dichiarava di aver avuto mal di testa, chi dolori di pancia…

Sei tu lì con la scacchiera: quindi se sbagli, se fai bene, se va, è una sfida più con te stesso che con l’avversario. Come la vita.

Io la vivo un pochino in questo modo. E migliorare in qualche modo, comprendere, capire certe cose, richiedono quello sforzo più profondo rispetto al cliccare su un videogioco.

È necessario insegnare ai ragazzi a confrontarsi con queste cose qui, perché vanno nella direzione opposta del mondo rispetto a dove sta andando. Sentiamo un mondo che sta correndo troppo veloce perso … Per i bambini, anche piccolissimi, gli scacchi possono essere un modo per familiarizzare con il proprio corpo, acquisire i concetti essenziali del tempo e dello spazio; fino ad una certa età infatti anche se non hanno ancora gli strumenti per affrontare il gioco vero e proprio, perché mancano delle necessarie capacità di astrazione, possono giocare anche semplicemente a spostarsi sulle mattonelle del pavimento, cercando di prendersi l’uno con l’altro, seguendo le regole del movimento dei pezzi. Un antico proverbio indiano dice che gli scacchi sono un mare dove il moscerino può bere e l’elefante fare il bagno: è un gioco che servirebbe a tutti.