A cura di Antonella Prudente

Chi è Marco Picariello?

È una domanda a cui nessuno potrebbe rispondere: ognuno di noi, sotto prospettive diverse, potrebbe essere raccontato in modo diverso. Da un punto di vista scacchistico, sono un giocatore di medio livello, un istruttore noto a livello nazionale e un discreto dirigente.

Quando nasce l’amore per gli scacchi? Amore a prima vista?

Ho imparato a giocare a scacchi da autodidatta, all’età di 8 anni, leggendo dei fumetti in cui si raccontavano le regole e le strategie di base. Messa questa passione nel cassetto, poiché travolto dalla necessità degli eventi attraverso i quali ognuno di noi occupa la propria vita, l’ho riscoperta per un istante durante il mio periodo universitario. Neanche in quel periodo mi fu permesso di vivere con serenità questa passione: impegni, sogni e desideri sono stati osservati dalla lente delle necessità sociali, e riproposti in un nuovo ordine di priorità.

La passione riprese vita, quando chiacchierando con degli amici decidemmo di istituzionalizzare il gioco degli scacchi a Montella. ‘Noi probabilmente non né usufruiremo, ma i nostri figli ti ringrazieranno’ furono le parole di Carmelo Calzerano a chiusura del nostro incontro.

La sua vita sulla scacchiere e la sua vita reale:  due esperienze che definisce come? Convivono?

Dal 2010, anno in cui abbiamo fondato l’ASD Circolo Scacchistico di Montella con altri nove amici, torri, cavalli, alfieri, re regine, e pedoni si intrecciano regolarmente con la mia attività quotidiana. Partendo dai tanti percorsi che abbiamo sviluppato nelle scuole di ogni ordine e grado in tanti paesi dell’alta Irpinia, fino alla grande sinergia con altre associazioni, enti, e attività produttive che abbiamo messo in essere.

Nella vita di ognuno di noi non esistono due o più esperienze, ma una sola che abbraccia ogni aspetto: ad esempio un pensatore lo è sempre, e, come dice mia figlia, il principale ostacolo è prevedere gli errori degli altri e dedicare la propria esistenza a correggerli.

Per me, spesso predire ciò che accadrà utilizzando i dati a disposizione e le capacità logico deduttive, proprie anche dell’attività scacchistica, risulta utile sia da un punto di vista professionale che umano. Altre volte però sono proprio queste predizioni  che impediscono di agire in modo, diciamo così, impulsivo.

Ha mai visto la serie  ‘LA REGINA DEGLI SCACCHI?

Ho visto il trailer e alcuni pezzi della serie, ma non la serie completa. L’ho trovata un po’ riduttiva e piuttosto monotematica: pone l’accento su aspetti legati a stereotipi, che personalmente, avendo vissuto per tanti anni in questo ambiente, posso assicurare, sono legati al personaggio che ogni scacchista vorrebbe rappresentare, ma non alla loro reale personalità.

Viaggiare e giocare a scacchi , scrivere storie e giocare a scacchi: quale relazione preferisce un’anima creativa come la sua?

Esattamente, come stai suggerendo, gli scacchi permettono, anzi richiedono tanti spostamenti e viaggi: partecipare a tornei, riunioni, corsi di formazione e aggiornamento sono i momenti piacevoli per chi, come me, ha la passione dell’incontrare gente, luoghi e emozioni nuove.

Oltre i viaggi, l’aspetto più entusiasmante per giocare a scacchi sono le relazioni sociali. Compare la necessità, e ovviamente il piacere, di doversi relazionare con persone che affrontano la vita in un modo che potremmo dire razionale, ma sarebbe riduttivo.

Si tratta di un miscuglio di emozioni e caratteristiche: dalla passione alla razionalità, dalla creatività alla memoria ripetitiva, dell’ingegno all’ottusità della certezza, dalla sottigliezza nella visione dei particolari alla grossolanità della visione d’insieme.

Di tutto questo  ho sempre aborrito dall’uso delle capacità deduttive per obiettivi abietti o futili, e devo dire che tra i tanti scacchisti raramente si incontrano persone che fanno uso del loro dono al di fuori dell’ambito scacchistico.

Gli scacchi, come ogni altro sport, basa la propria esistenza sull’etica del rispetto degli altri e sulla morale della giustizia.

Esiste un file rouge tra ragione, gioco degli scacchi e libero arbitrio?

In questo periodo storico particolare la ragione prende spesso, nel bene e nel male, il sopravvento.

Si potrebbe immaginare Dio che gioca con noi a scacchi e che ci propone la necessità di affrontare ogni singola nostra mossa della vita attraverso la lente della razionalità e della ragione. Ogni nostra mossa può essere scelta tra decine di altre mosse, e ognuna di esse, seguita dalle altre mosse, ci porterà lungo uno dei possibili cammini da scegliere tra una miriade praticamente infinita. È libero arbitrio o la sua illusione?

Come in una partita a scacchi, anche nella vita ognuno di noi si pone un obiettivo e un piano su cosa vorrebbe fare, e agisce, muove, cercando di raggiungere quell’obiettivo. Diventano quindi prevedibili le mosse che ognuno di noi farà: nel limite delle nostre capacità di predizione è innegabile che ognuno di noi farà il meglio che può con ciò che ha in quel momento.

Quindi no, non c’è il libero arbitrio nelle mosse, ma può esserci nel piano che ognuno di noi immagina di poter sviluppare nel corso della propria esistenza.

E’ soprattutto considerato il gioco della ragione e del calcolo, per la serie ‘era già tutto previsto’, ha ruolo il sentimento e l’imprevisto in questo gioco?

È proprio il calcolo che alimenta l’imprevisto: nessuno di noi può calcolare esattamente ogni singola mossa, né negli scacchi né nella vita. Questo non perché non ne siamo capaci, ma semplicemente perché ciò non è possibile data la grandissima quantità di possibili soluzioni: esse sono ben oltre il numero di atomi dell’universo.

Razionalmente, il sentimento stesso fa parte della ragione: non si può immaginare un mondo senza di esso, ne agire senza seguirlo. Quindi, il sentimento non è di per sé un imprevisto, ma lo diventa solo quando noi non siamo in grado di prevederlo.

È per questo che il nostro agire cambia sistematicamente ogni volta che veniamo a contatto con un nuovo pezzo di mondo: quest’ultimo aggiunge un nuovo ingrediente alla nostra conoscenza che ci permette di rivedere e rivalutare le mosse da fare.

La sua associazione a Montella ha raggiunto ottimi risultati e traguardi: cosa pretende ancora?

Innanzitutto ci tengo a precisare che non è la mia associazione, ma è l’associazione di tutti i soci: nessuno da solo potrebbe ottenere i risultati ottenuti in questi anni dalla ASD Circolo Scacchistico di Montella.

Lo scorso anno abbiamo avuto la possibilità di realizzare un percorso proposto da Sport e Salute su 5 paesi, e abbiamo avuto un incremento eccezionale del numero di iscritti raggiungendo quota 140 circa. Quest’anno sebbene non abbiamo avuto la possibilità di realizzare lo stesso percorso, abbiamo comunque ottenuto un buon risultato raggiungendo quota 98 iscritti.

È la dimostrazione che ci sono ampi spazi di diffusione della cultura scacchistica nei nostri paesi. Moltissimi sanno giocare a scacchi, o quantomeno sanno come si muovono i pezzi anche se non sanno dove metterli. I prossimi passi potranno essere sia quelli di allargare ulteriormente base degli interessati a questo sport sia quello di dare la possibilità a chi ha più entusiasmo di raggiungere traguardi sportivi di livello almeno nazionale.

Il re è il pezzo più importante, ma la regina quello più potente: ogni uomo avrebbe bisogno di una regina?

Gli scacchi sono un gioco, bello piacevole entusiasmante e sportivamente elegante, ma un gioco.

Nel mondo degli scacchi esiste un’asimmetria enorme tra il re e la regina, che nella realtà odierna, direi fortunatamente, non c’è (o dovrebbe non esserci) tra donna e uomo.

La regina ha ampi spazi di movimento, può fare ciò che vuole, può agire come meglio crede. Il re è un povero vecchietto che si muove lentamente, praticamente indifeso ed esposto agli attacchi di ogni pezzo avversario. Ma questa asimmetria di movimento si trasferisce anche nella asimmetria del sacrificio: è la regina che abbandona ogni suo desiderio di conquista del terreno nemico se vede il proprio re in pericolo. È sempre pronta sia a dare scacco matto al re avversario sia a sacrificarsi per il proprio.